L’Economist sul referendum

Il settimanale Economist suggerisce agli italiani di votare no alla riforma costituzionale italiana. Fra le motivazioni:

– la legge elettorale consente di avere il 54% della camera dei deputati con il 40% dei voti degli elettori

– il nuovo senato sarà composto da sindaci e consiglieri regionali, definiti come la parte più corrotta della classe politica nazionale, che godranno dell’immunità parlamentare

– occorrono altre riforme, fra cui il sistema scolastico e la giustizia

La legge elettorale non fa parte della Costituzione, può essere modificata con legge ordinaria. Non si dimentichi, peraltro, che in UK il partito conservatore governa, per via della legge elettorale vigente, con consensi sotto il 30% ed il presidente USA è stato eletto con meno voti della rivale democratica.

Il senato riformato ha compiti diversi da quello attuale. Inoltre non diventano senatori tutti i consiglieri regionali, ma alcuni (pochi) di loro, designati dal rispettivo Consiglio. I consiglieri regionali sono eletti a suffragio universale e sono espressione del corpo elettorale locale, che è responsabile delle proprie scelte.

I progetti di riforma della scuola e della giustizia, come le altre riforme necessarie al paese, sono stati spesso frenati e vanificati dal parlamento bicamerale. Il nuovo assetto può rendere più semplice l’intervento, la configurazione attuale è bloccante.

Infine l’Economist auspica un governo tecnico nello scenario successivo ad una vittoria del no. I governi di questo tipo non hanno dato buona prova, come ci ricorda la storia recente. Né esistono alternative credibili (nei numeri e nei progetti) al governo a guida PD attualmente in carica. Capisco la preoccupazione di chi vorrebbe una Non-Europa per una Inghilterra (la Scozia e l’Irlanda del Nord potrebbero dissociarsi) attualmente priva di partners affidabili sul continente europeo, ma non credo convenga seguirla in questa scelta.

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