Autonomia differenziata - disegno di legge

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enzostra
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Autonomia differenziata - disegno di legge

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Ecco i 10 articoli che compongono il disegno di legge. Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario
Art. 1 (Finalità) 1. La presente legge, nel rispetto dei principi di unità giuridica ed economica, indivisibilità e autonomia e in attuazione del principio di decentramento amministrativo e per favorire la semplificazione delle procedure, l’accelerazione procedimentale, la sburocratizzazione, la distribuzione delle competenze che meglio si conformi ai principi di sussidiarietà e differenziazione, definisce i principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione.
L’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, 2 relative a materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione, nella normativa vigente alla data di entrata in vigore della presente legge o sulla base della procedura di cui all’articolo 3, dei relativi livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Tali livelli indicano la soglia costituzionalmente necessaria e costituiscono il nucleo invalicabile per rendere effettivi tali diritti e per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, per assicurare uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie territoriali, per favorire un’equa ed efficiente allocazione delle risorse e il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali.
Art. 2 (Procedimento di approvazione delle intese fra Stato e Regione) 1. L’atto d’iniziativa relativo all’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, è deliberato dalla Regione, sentiti gli enti locali, secondo le modalità e le forme stabilite nell’ambito della propria autonomia statutaria. L’atto è trasmesso al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali e le autonomie che, acquisita entro trenta giorni la valutazione dei Ministri competenti per materia e del Ministro dell’economia e delle finanze, anche ai fini dell’individuazione delle necessarie risorse finanziarie da 3 assegnare ai sensi dell’articolo 14 della legge 5 maggio 2009, n. 42, avvia il negoziato con la Regione richiedente ai fini dell’approvazione dell’intesa di cui al presente articolo. Decorso tale termine, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari regionali e le autonomie avvia comunque il negoziato.
L’atto o gli atti d’iniziativa di ciascuna Regione possono riguardare una o più materie o ambiti di materie.
Lo schema di intesa preliminare negoziato tra Stato e Regione, corredato da una relazione tecnica redatta ai sensi dell’articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, anche ai fini di cui all’articolo 8, è approvato dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delegato per gli affari regionali e le autonomie. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale interessata. Lo schema di intesa preliminare di cui al comma 3 è immediatamente trasmesso alla Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, per l’espressione del parere, da rendersi entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Dopo che il parere è stato reso dalla Conferenza unificata e comunque decorso il relativo termine, lo schema di intesa preliminare è immediatamente trasmesso alle Camere per l’esame da parte dei competenti organi parlamentari, che si esprimono con atti di indirizzo, secondo i rispettivi regolamenti, entro sessanta giorni dalla data di trasmissione dello schema di intesa preliminare, udito il Presidente della Giunta regionale.
Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, valutati i pareri della Conferenza unificata e sulla base degli atti di indirizzo di cui al comma 4 o, comunque, una volta decorso il 4 termine di sessanta giorni, predispone lo schema di intesa definitivo al termine di un ulteriore negoziato, ove necessario. Lo schema di intesa definitivo è trasmesso alla Regione interessata, che lo approva secondo le modalità e le forme stabilite nell’ambito della propria autonomia statutaria. Entro trenta giorni dalla data della comunicazione dell’approvazione da parte della Regione, lo schema di intesa definitivo, corredato di una relazione tecnica redatta ai sensi dell’articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, anche ai fini del rispetto dell’articolo 8, comma 1, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, è deliberato dal Consiglio dei ministri. Con lo schema di intesa definitivo, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, delibera un disegno di legge di approvazione dell’intesa, che vi è allegata. Alla seduta del Consiglio dei Ministri per l’esame dello schema di disegno di legge e dello schema di intesa definitivo partecipa il Presidente della Giunta regionale.
L’intesa definitiva, dopo l’approvazione del Consiglio dei ministri, è immediatamente sottoscritta dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Presidente della Giunta regionale. Il disegno di legge di cui al comma 6, cui è allegata l’intesa, è immediatamente trasmesso alle Camere per la deliberazione, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
Art. 3 (Determinazione dei LEP ai fini dell’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione) 5 1. Ai fini dell’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (di seguito, LEP) e i relativi costi e fabbisogni standard sono determinati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo le disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 791 a 801, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, nelle materie o ambiti di materie indicati con legge.
Dopo l’acquisizione dell’intesa della Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 1, comma 796, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, e comunque decorso il relativo termine di trenta giorni, lo schema di decreto è trasmesso alle Camere per l’espressione del parere. Il parere è reso entro quarantacinque giorni dalla data di trasmissione dello schema di decreto. Il Presidente del Consiglio dei ministri, valutato il contenuto dell’intesa della Conferenza unificata e del parere delle Camere o, comunque, una volta decorso il termine di quarantacinque giorni per l’espressione del parere di queste ultime, adotta il decreto, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. Qualora, successivamente alla data di entrata in vigore della legge di approvazione dell’intesa, in materie oggetto della medesima, i LEP, con il relativo finanziamento, siano modificati o ne siano determinati ulteriori, la Regione interessata è tenuta all’osservanza di tali livelli essenziali subordinatamente alla corrispondente revisione delle risorse relative ai suddetti LEP secondo le modalità di cui all’articolo 5.
Art. 4 (Trasferimento delle funzioni) 6 1. Il trasferimento delle funzioni, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, concernenti materie o ambiti di materie riferibili ai LEP di cui all’articolo 3, può essere effettuato, secondo le modalità e le procedure di quantificazione individuate dalle singole intese, soltanto dopo la determinazione dei medesimi LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard.
Qualora dalla determinazione dei LEP di cui al primo periodo derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, si potrà procedere al trasferimento delle funzioni solo successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie coerenti con gli obiettivi programmati di finanza pubblica. Il trasferimento delle funzioni relative a materie o ambiti di materie diversi da quelli di cui al comma 1, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, può essere effettuato, secondo le modalità, le procedure e i tempi indicati nelle singole intese, nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente, dalla data di entrata in vigore della presente legge.
Art. 5 (Principi relativi all’attribuzione delle risorse finanziarie, umane e strumentali corrispondenti alle funzioni oggetto di conferimento) 1. Le risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per l’esercizio da parte delle Regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sono determinate da una Commissione paritetica Stato-Regione, disciplinata dall’intesa di cui all’articolo 2. Fanno parte della Commissione, per lo Stato, un 7 rappresentante del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, un rappresentante del Ministro dell’economia e delle finanze e un rappresentante per ciascuna delle amministrazioni competenti e, per la Regione, i corrispondenti rappresentanti regionali.
L’intesa di cui all’articolo 2 individua le modalità di finanziamento delle funzioni attribuite attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale, nel rispetto dell’articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 119, quarto comma, della Costituzione.
Art. 6 (Ulteriore attribuzione di funzioni amministrative a enti locali) 1. Le funzioni amministrative trasferite alla Regione in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione possono essere attribuite, nel rispetto del principio di leale collaborazione, a Comuni, Province e Città metropolitane dalla medesima Regione, in conformità all’articolo 118 della Costituzione, contestualmente alle relative risorse umane, strumentali e finanziarie. Restano, in ogni caso, ferme le funzioni fondamentali degli enti locali, con le connesse risorse umane, strumentali e finanziarie, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione.
Art. 7 (Durata delle intese e successione di leggi nel tempo e monitoraggio) 1. L’intesa di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione indica la propria durata, comunque non superiore a dieci anni. Con le medesime modalità previste nell’articolo 2, su iniziativa dello Stato o della Regione interessata, l’intesa può essere modificata. L’intesa può prevedere inoltre i casi e le modalità con cui lo Stato o la Regione possono chiedere la cessazione della sua efficacia, che è deliberata con legge a maggioranza assoluta delle Camere. Alla scadenza del termine di durata, l’intesa si intende rinnovata per un uguale periodo, salvo diversa volontà dello Stato o della Regione, manifestata almeno dodici mesi prima della scadenza.
Ciascuna intesa individua i casi in cui le disposizioni statali vigenti nelle materie di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, oggetto di intesa con una Regione, approvata con legge, continuano ad applicarsi nei relativi territori della Regione fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni regionali disciplinanti gli ambiti oggetto dell’intesa. La Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie, il Ministero dell’economia e delle finanze o la Regione possono, anche congiuntamente, disporre verifiche su specifici profili o settori di attività oggetto dell’intesa con riferimento alla garanzia del raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni, nonché il monitoraggio delle stesse e a tal fine ne concordano le modalità operative.
La Commissione paritetica di cui all’articolo 5, comma 1, procede annualmente alla valutazione degli oneri finanziari derivanti, per ciascuna Regione interessata, dall’esercizio delle funzioni e dall’erogazione dei servizi connessi alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, secondo 9 quanto previsto dall’intesa, in coerenza con gli obiettivi programmatici di finanza pubblica e, comunque, garantendo l’equilibrio di bilancio. Le disposizioni statali successive alla data di entrata in vigore delle leggi di approvazione di intese osservano le competenze legislative e l’assegnazione delle funzioni amministrative e le ulteriori disposizioni contenute nelle intese.
Art. 8 (Clausole finanziarie) 1. Dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Fermo restando quanto previsto dall’articolo 4, comma 1, è garantito il finanziamento dei LEP sulla base dei relativi costi e fabbisogni standard, nel rispetto dell’articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196.
Sono garantiti l’invarianza finanziaria, in relazione alle intese approvate con legge in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, per le singole Regioni che non siano parte dell’intesa, nonché il finanziamento delle iniziative finalizzate ad attuare le previsioni di cui all’articolo 119, terzo e quinto comma, della Costituzione. Le intese, in ogni caso, non possono pregiudicare l’entità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni.
Art. 9 (Misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale) 1. Ai fini della promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale, della rimozione degli squilibri economici e sociali e del perseguimento delle ulteriori finalità di cui all’articolo 119, quinto comma, della Costituzione, anche nei territori delle Regioni che non concludono le intese, lo Stato, in attuazione dell’articolo 119, commi terzo e quinto, della Costituzione, promuove l’esercizio effettivo dei diritti civili e sociali che devono essere garantiti dallo Stato, dalle amministrazioni regionali e locali nell’esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione, previa ricognizione delle risorse allo scopo destinabili, anche attraverso: a) l’unificazione delle diverse fonti aggiuntive o straordinarie di finanziamento statale di conto capitale, destinate alla promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale, alla rimozione degli squilibri economici e sociali e al perseguimento delle ulteriori finalità di cui all’articolo 119, quinto comma, della Costituzione, semplificando e uniformando le procedure di accesso, di destinazione territoriale, di spesa e di rendicontazione, al fine di garantire un utilizzo più razionale, efficace ed efficiente delle risorse disponibili, e salvaguardando, al contempo, gli specifici vincoli di destinazione, ove previsti, nonché la programmazione già in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Resta comunque ferma la disciplina prevista dall’articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n.
88; 11 b) l’unificazione delle risorse di parte corrente e semplificazione delle relative procedure amministrative;
c) l’effettuazione di interventi speciali di conto capitale.
Art. 10 (Disposizioni transitorie e finali) 1. L’esame degli atti di iniziativa delle Regioni già presentati al Governo, di cui sia stato avviato il confronto congiunto tra il Governo e la Regione interessata prima della data di entrata in vigore della presente legge, prosegue secondo quanto previsto dalle pertinenti disposizioni della presente legge. Nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, si applica l’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. È fatto salvo l’esercizio del potere sostitutivo del Governo ai sensi dell’articolo 120, secondo comma, della Costituzione.
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Re: Autonomia differenziata - disegno di legge

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LE PRIMARIE DEL PD E L'AUTONOMIA REGIONALE DIFFERENZIATA - il Mulino
https://www.rivistailmulino.it/a/le-pri ... ferenziata
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Re: Autonomia differenziata - disegno di legge

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Re: Autonomia differenziata - disegno di legge

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La voce info sull'autonomia differenziata
https://lavoce.info/archives/99853/sull ... per-nulla/
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Re: Autonomia differenziata - disegno di legge

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Parere della fondazione Gimbe
“Con l’autonomia differenziata colpo di grazia al Ssn”
quotidianosanità.it

Giovedì 02 FEBBRAIO 2023
Gimbe: “Con l’autonomia differenziata colpo di grazia al Ssn”

In un dossier presentato oggi in contemporanea con il Cdm che dovrà esaminare il ddl Calderoli, la Fondazione GIMBE invita il Governo “a mettere da parte posizioni sbrigative e propone di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie”. O almeno di far sì che “l’eventuale attuazione del regionalismo differenziato in sanità venga gestita con estremo equilibrio, colmando innanzitutto il gap strutturale tra Nord e Sud del Paese”. IL DOSSIER.

In contemporanea con l’arrivo in Consiglio dei Ministri del ddl predisposto dal ministro Calderroli per l’autonomia differenziata, la Fondazione Gimbe ha diramato un approfondito rapporto su come si è arrivati a questo punto e soprattutto su quali potrebbero essere le conseguenze per la sanità di un processo di progressiva frammentazione regionale delle regole e delle competenze.

Per il presidente della Fondazione Nino Cartabellotta il testo all’esame del Cdm è scritto in modo tale da “blindare” l’autonomia differenziata, facendone “un affaire tra Governo e Regioni esautorando il Parlamento”.

Inoltre, spiega Cartabellotta, il ddl Calderoli, “non prevede risorse per finanziare i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e consente il trasferimento delle autonomie alle Regioni prima senza recuperare i divari tra le varie aree del Paese”.

Parlamento esautorato. Per Gimbe il ddl non entra nel merito delle motivazioni che portano le Regioni a richiedere maggiore autonomia sulle 23 materie e sulle intese definite tra il Ministro degli Affari Regionali e le Regioni al Parlamento “è concesso solo di esprimere un parere non vincolante e un voto di ratifica senza possibilità di emendamenti”.

“Le Camere, spiega Gimbe, non avranno alcun potere di intervento sulle disposizioni relative al trasferimento di risorse umane e finanziarie alle Regioni, né parteciperanno alla definizione dei LEP. Ovvero il ruolo del Parlamento è assolutamente marginale”.

Per i LEP solo un Dpcm. Anche sulle modalità di costruzione dei LEP, Gimbe è perplessa e rileva che essi “saranno definiti attraverso DPCM da una apposita Commissione Tecnica e, in quanto atti amministrativi, potranno essere impugnati solo davanti al TAR, ma non davanti alla Corte Costituzionale”.

“Formalmente, sottolinea Gimbe, dovrebbero essere garantiti a tutti i cittadini, ma restano orfani di risorse, fondamentali per allineare la qualità dei servizi delle Regioni del Centro-Sud a quelle del Nord”.

E infine, rileva Gimbe il “trasferimento delle funzioni alle Regioni potrà essere effettuato già dopo la definizione dei LEP, senza attenderne l’attuazione, ovvero l’autonomia precede il recupero dei divari tra le varie aree del Paese”.

“Colpo di grazia al Ssn”. Con questo disegno di legge, dice Cartabellotta, “si darà il colpo di grazia al Servizio Sanitario Nazionale e aumenteranno le diseguaglianze regionali legittimando normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute”.

“Il report analizza esclusivamente le maggiori autonomie richieste dalle Regioni in materia di tutela della salute – spiega il Presidente – anche se, secondo il principio Health in all policies e il recente approccio One Health, numerosi ambiti di maggiori autonomie hanno un potenziale impatto sulla salute pubblica”.

In particolare, spiega, “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, tutela e sicurezza del lavoro, alimentazione, ordinamento sportivo; ma anche governo del territorio, grandi reti di trasporto e di navigazione e previdenza complementare e integrativa”.

Luci e ombre degli accordi di Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto. E se da alcune richieste di maggiore autonomia avanzate da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, che hanno già sottoscritto apposite intese nel 2018 con il Governo di Centro Sinistra di Gentiloni, emergono anche elementi positivi che andrebbero addirittura estesi a tutte le regioni come quello dell’abolizione dei tetti di spesa per il personale sanitario e l’istituzione di contratti di formazione-lavoro per anticipare l’ingresso nel mondo del lavoro di specialisti e medici di famiglia, vi sono poi alcune forme di autonomia che, secondo Gimbe, “rischiano di sovvertire gli strumenti di governance del SSN aumentando le diseguaglianze nell’offerta dei servizi”.

Si tratta in particolare delle autonomie richieste su sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione, sistema di governance delle aziende e degli enti del Servizio Sanitario Regionale, determinazione del numero di borse di studio per specialisti e medici di famiglia.

E a queste, già pericolose, secondo Gimbe, si aggiungono poi altre istanze addirittura “eversive”: come la maggiore autonomia in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi che, secondo Gimbe, “darebbe il via a sistemi assicurativo-mutualistici regionali sganciati dalla, seppur frammentata, normativa nazionale”.

Inoltre, sottolinea ancora Gimbe, “la richiesta del Veneto di contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del SSN, oltre all’autonomia in materia di gestione del personale e di regolamentazione dell’attività libero-professionale, rischia di concretizzare una concorrenza tra Regioni con migrazione di personale dal Sud al Nord, ponendo una pietra tombale sulla contrattazione collettiva nazionale e sul ruolo dei sindacati”.

E va poi stigmatizzato che, fa notare Cartabellotta, “la richiesta di maggiori autonomie viene proprio dalle Regioni che fanno registrare le migliori performance nazionali in sanità”. Infatti, dalla fotografia sugli adempimenti al mantenimento dei LEA relative al decennio 2010-2019 emerge che le tre Regioni che hanno richiesto maggiori autonomie si collocano nei primi 5 posti della classifica, rispettivamente Emilia Romagna (1a), Veneto (3a) e Lombardia (5a), mentre nelle prime 10 posizioni non c’è nessuna Regione del Sud e solo 2 del Centro (Umbria e Marche).

Inoltre, aggiunge Cartabellotta, l’analisi della mobilità sanitaria conferma la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord, cui corrisponde quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud, visto che nel decennio 2010-2019, tredici Regioni, quasi tutte del Centro Sud, hanno accumulato un saldo negativo pari a € 14 miliardi.

E che tra i primi quattro posti per saldo positivo si trovano sempre le tre Regioni che hanno richiesto le maggiori autonomie: Lombardia (+€ 6,18 miliardi), Emilia-Romagna (+€ 3,35 miliardi), Toscana (+€ 1,34 miliardi), Veneto (+€ 1,14 miliardi). Al contrario, le cinque Regioni con saldi negativi superiori a € 1 miliardo sono tutte al Centro-Sud: Campania (-€ 2,94 miliardi), Calabria (-€ 2,71 miliardi), Lazio (-€ 2,19 miliardi), Sicilia (-€ 2 miliardi) e Puglia (-€ 1,84 miliardi).

“Questi dati – continua Cartabellotta – confermano che nonostante la definizione dei LEA dal 2001, il loro monitoraggio annuale e l’utilizzo da parte dello Stato di strumenti quali Piani di rientro e commissariamenti, persistono inaccettabili diseguaglianze tra i 21 sistemi sanitari regionali, in particolare un gap strutturale Nord-Sud che compromette l’equità di accesso ai servizi e alimenta un’imponente mobilità sanitaria in direzione Sud-Nord”.

Di conseguenza, questa la tesi di Gimbe, “l’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione, non potrà che amplificare le inaccettabili diseguaglianze registrate con la semplice competenza regionale concorrente in tema di tutela della salute”.

“Legittimato il divario tra Nord e Sud”. “Il regionalismo differenziato in sanità – spiega ancora Cartabellotta – finirà per legittimare normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute. Peraltro in un momento storico in cui il Paese ha sottoscritto con l’Europa il PNRR, il cui obiettivo trasversale è proprio quello di ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali”.

“Tenendo conto della grave crisi di sostenibilità del SSN e delle imponenti diseguaglianze regionali – conclude Cartabellotta – la Fondazione GIMBE invita il Governo a mettere da parte posizioni sbrigative e propone in prima istanza di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie. In subordine, chiede che l’eventuale attuazione del regionalismo differenziato in sanità venga gestita con estremo equilibrio, colmando innanzitutto il gap strutturale tra Nord e Sud del Paese, modificando i criteri di riparto del Fabbisogno Sanitario Nazionale e aumentando le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni. È indispensabile salvaguardare la capacità di redistribuzione del reddito senza compromettere l’esercizio dei diritti costituzionali fondamentali, in particolare il diritto alla tutela della salute: altrimenti, la sanità rischia di essere un bene pubblico per i residenti nelle Regioni più ricche e un bene di consumo per quelle più povere”.


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Sintesi dell'incontro presso il Circolo La Palma

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Circolo PD – La Palma – 15 marzo 2023
Presentazione del Disegno di legge Calderoli sull'autonomia differenziata - con
l'introduzione di Gianmario Demuro, professore ordinario di Diritto costituzionale
dell’Università degli studi di Cagliari.
Programmato da tempo, ma rinviato per gli adempimenti congressuali e lo svolgimento
delle primarie, l'incontro ha visto una numerosa partecipazione e la presenza di consiglieri
regionali (il Capogruppo Gianfranco Ganau, Valter Piscedda, Salvatore Corrias, Giuseppe
Meloni e Piero Comandini, neo eletto segretario regionale) che il giorno precedente
avevano animato in Consiglio regionale il dibattito sull'argomento. In un contesto che vede
l'informazione veicolata dai media locali spesso carente se non subalterna al potere
regionale, i loro interventi hanno consentito agli iscritti di conoscere il lavoro che il PD
svolge nelle Istituzioni.
Di seguito un breve riassunto del dibattito.
GIANMARIO DEMURO
Illustra il disegno di legge e lo inquadra nel contesto normativo, il cui riferimento è l’articolo
116 del titolo V della Costituzione, riformato con L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
Sottolinea la necessità di inquadrare le norme di attuazione dell’articolo in questione in
una discussione più generale sulla forma dello Stato.
Evidenzia il fatto che potrebbero essere oggetto di intesa fra Stato e Regioni interessate
fino a 23 materie di competenza concorrente, ma che solo tre Regioni, finora, hanno
manifestato tale volontà, con forti differenze nelle loro rivendicazioni.
Viene rimarcato che occorre definire per legge i LEP (livelli essenziali delle prestazioni),
ma è data indicazione rispetto alla necessità di mantenere invariati i costi per il Bilancio
Statale.
Si sottolinea inoltre che la definizione dei LEP dovrebbe essere realizzata tramite DPCM.
Per le Intese fra Stato e Regioni è previsto il solo parere consultivo da parte delle Camere.Occorrerebbe riequilibrare le politiche pubbliche, in un’ottica solidaristica, mentre la legge
Calderoli è ispirata ad un Regionalismo competitivo.
ENZO STRAZZERA
Dà avvio al dibattito, invitando a utilizzare il Forum del Circolo per trovare i riferimenti
normativi, alcuni commenti tratti da siti di informazione e per inserire propri contributi sul
tema. Invita ad intervenire ed a porre domande al Relatore.
TORE CHERCHI. Dalla lettura del Disegno di legge Calderoli, il primo elemento di
conflitto che emerge riguarda le risorse. Uno Stato ispirato all'autonomismo, al
semifederalismo, come delineato nella nostra Costituzione, può assumere un modello di
tipo competitivo o un modello cooperativo, solidale. Questo è il punto politico che distingue
nettamente la nostra idea di federalismo da quella della Lega. Si tratta di visioni
profondamente diverse: nel modello competitivo prevale la logica del mercato, al contrario,
nei sistemi cooperativi-solidaristici la Repubblica si preoccupa di garantire i diritti di tutti e
la crescita di tutti i territori.
Queste diverse visioni si confrontarono già nella discussione sulla riforma dell'articolo 119
della Costituzione; una discussione molto accesa, in particolare sul principio della
perequazione, che vedeva contrapposti la visione della Lega (il gettito dei tributi erariali
rimane nei territori e poi se ne trasferisce una parte) e i principi solidaristici del
centrosinistra. Prevalse l'idea del centrosinistra e infatti l'art. 119, nel prevedere
l'autonomia di entrate e di spesa, garantisce che determinate funzioni fondamentali
(sanità, politiche sociali, istruzione, mobilità) siano finanziate integralmente, anche oltre la
capacità fiscale dei territori, e riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'istituzione di
un “fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità
fiscale per abitante”.
La visione subalterna del sardo-leghismo, nell'accettare l'egoismo dei singoli territori,
dimostra tutte le sue contraddizioni: nega i diritti di cittadinanza e contrasta con il pensiero
di Lussu che aveva informato lo spirito autonomistico della nostra Costituzione.
Negli ultimi dieci anni, mentre il riformismo che innervava quella visione solidaristica ha
subito una battuta d'arresto con le politiche dei tagli alla spesa pubblica e la conseguente
compressione dei diritti, si rafforzava la spinta di alcune Regioni a recuperare risorse (il
referendum consultivo promosso dalla Regione Veneto sull'indipendenza e per
l'acquisizione del 90 per cento delle entrate fiscali, poi bocciati dalla Corte Costituzionale),
alimentata anche dalla grande bugia secondo cui lo Stato è intervenuto massicciamente in
favore del Mezzogiorno. In realtà, se si analizza la spesa ordinaria dello Stato, si osserva
che nell'ultimo ventennio la distanza tra Nord e Sud si è allargata.La Regione Sardegna dovrebbe unitariamente dire no a questo disegno di legge, infatti,
analizzando il fabbisogno che servirebbe per finanziare quelle funzioni fondamentali di cui
si è parlato, emerge che alla Sardegna occorrerebbero ulteriori risorse da parte dello Stato
rispetto alla spesa storica per colmare le sperequazioni esistenti. Occorre infine fare
attenzione alla retorica sull'insularità, che sta occupando il dibattito pubblico di questi
giorni: sbandierata come una conquista, serve solo a giustificare l'incomprensibile
consenso dato dalla Giunta regionale al provvedimento Calderoli. Si tratta di un vero e
proprio imbroglio, di un tradimento dei principi dello spirito solidaristico della nostra
autonomia. Tanto più che già la legge 42 del 2009 di attuazione dell’articolo 119 della
Costituzione, prevede agli articoli 22 e 27 che siano conteggiati gli oneri derivanti
dall’insularità ai fini della quantificazione del fabbisogno. Non servono nuove leggi. La
stessa legge 42/09 dispone che si dia corso a quelle disposizioni attraverso apposite
norme di attuazione dello Statuto sardo. La Regione dovrebbe chiedere che sia convocato
il Comitato paritetico Stato- Regione per procedere.
GIANFRANCO GANAU. Su questo tema il Consiglio regionale ha discusso ieri, con molto
ritardo, nonostante le nostre sollecitazioni ad avviare il dibattito in tempi utili, prima che
fosse dato quel vergognoso parere favorevole al Disegno di legge Calderoli. Nel merito ho
molte perplessità, intanto è impensabile che le Regioni possano acquisire,
contemporaneamente, ben 23 funzioni; sarebbe stato necessario prevedere una
gradualità. La seconda perplessità riguarda l'iter previsto: il passaggio delle funzioni
avviene attraverso una trattativa diretta tra le Regioni e lo Stato, con un procedimento
molto più semplicistico rispetto all'iter che dobbiamo seguire noi come Regione speciale
per l'attuazione delle norme previste nello Statuto; una trattativa che una volta conclusa
passa all'esame del Parlamento, che può semplicemente esprimere un parere. Ma è sulle
risorse economiche che emerge il disegno delle Regioni più ricche del Nord, ovvero
trattenere il massimo gettito fiscale nel proprio territorio a scapito di quelle funzioni
integrative di sussidiarietà, di solidarietà previste dalla Costituzione. Manca la previsione di
un fondo di perequazione che è essenziale per garantire lo sviluppo omogeneo della
Repubblica. E infine mancano i LEP (Livelli essenziali di prestazioni). Nella sanità, già da
dieci anni sono previsti i LEA (Livelli essenziali di assistenza), ma ad oggi, come dimostra
lo studio della Fondazione GIMBE di cui ha parlato Gianmario, sono applicati al 90 per
cento al Nord e al 60 al Sud, un divario che in nove anni ha determinato una mobilità
passiva (dal Sud al Centro-Nord) pari a 14 miliardi di euro. E' evidente che i LEP non sono
una garanzia di sviluppo paritario del territorio della Repubblica. Anche i costi standard
non definiscono il costo reale dell'applicazione dei LEP in ogni regione, infatti in Sardegna
l'applicazione dei LEA nella sanità in alcuni casi costa più che in Lombardia. Tutto questo
non è minimamente considerato nel testo proposto. Ma ciò che più preoccupa è
l'annullamento della nostra specialità: A giustificazione di questo viene sbandierato il tema
dell'insularità quale strumento per mantenere quei riconoscimenti fino ad oggi garantitidalla specialità. Tale principio, già presente nella Costituzione, prevede interventi di
compensazione per l'arretratezza strutturale derivante dall'insularità, ma non ha portato
fino a oggi vantaggi effettivi per la Sardegna. Tuttavia, la specialità è altra cosa, è basata
su ragioni geografiche, ma anche storiche, culturali, identitarie che difficilmente possono
trovare considerazione in una norma sull'insularità che prevede una compensazione per
gli squilibri infrastrutturali tra le isole e il resto d'Italia.
Nella Conferenza Stato-Regioni la Giunta ha sostanzialmente approvato il disegno di
legge Calderoli; l'assessore Doria, dopo aver sostenuto di non sapere che l'argomento
fosse all'ordine del giorno (una pietosa bugia), ha successivamente giustificato la
posizione scandalosa della Giunta con l'impegno da parte del Governo di mantenere gli
attuali livelli di trasferimenti alla Regione, che in pratica significa la rinuncia a tutte le
rivendicazioni storiche per il superamento del divario economico, infrastrutturale e sociale
che ancora oggi divide la Sardegna dal resto del Paese.
Il PD ha presentato una mozione di sfiducia al Presidente della Regione, temo che non
sarà approvata, anzi, su questo il centro-destra si ricompatterà, ma dobbiamo comunque
promuovere una forte mobilitazione per smentire il tentativo di spacciare il tema
dell'insularità come garanzia per il mantenimento della specialità della Sardegna perché la
verità è che rischiamo di diventare una Regione a Statuto ordinario.
GIUSEPPE MELONI. Il dibattito in Aula di ieri è stato definito molto “alto”, ma in realtà è
stato un dibattito a senso unico, la maggioranza ha svolto solo qualche breve intervento; il
Capogruppo della Lega chiedeva se avessimo letto il testo della proposta Calderoli, ma il
problema è se loro abbiano capito ciò che hanno letto. La posizione della Giunta era già
apparsa chiara quando, alcuni mesi fa, l'Ufficio stampa di Calderoli riferiva di un
sostanziale accordo con Solinas che si sarebbe accontentato dell'inserimento nel testo del
richiamo all'insularità, che poi nel testo non è presente, credo che stiano correndo ora ai
ripari. In Aula abbiamo detto chiaramente che è inaccettabile barattare l'autonomia
differenziata con il riconoscimento del principio di insularità.
Tuttavia ho qualche riserva su un atteggiamento di totale contrarietà senza presentare
controproposte, perché penso che negli ultimi decenni la Sardegna non abbia operato in
modo sufficientemente efficace per esercitare fino in fondo la propria potestà derivante
dalla specialità, e in questa legislatura, con la Giunta Solinas, la situazione si è
ulteriormente aggravata. Ad esempio, quando abbiamo tentato di condurre la battaglia
sulla continuità territoriale, pensavamo che sarebbe stata utile una norma d'attuazione
dello Statuto per poterci confrontare più autorevolmente con l'Europa, ma è stato
impossibile per l'atteggiamento di Dario Giagoni, allora Capogruppo della Lega, oggi
deputato, nominato, senza alcun titolo, nel 2018, dal Governo giallo-verde componente la
commissione paritetica Stato-Regione, che ne ha di fatto bloccato l'attività con la pretesa
di diventarne Presidente.Nell'anno che manca alla fine della legislatura e in un contesto in cui non possiamo fare
affidamento su questo governo regionale, come possiamo, da regionalisti, rivedere la
nostra specialità? Penso che dovremmo farci promotori, come centrosinistra, ma in
particolare come PD, di una forte azione politica, ripartendo dall'attuazione dell'art. 13
dello Statuto per non limitarci a una battaglia di retroguardia. Mi rendo conto che è difficile,
ma se iniziamo a operare in questo modo forse potremo essere credibili quando ci
presenteremo ai Sardi per rivendicare la guida della Regione.
ANNA MARIA BUSIA. L'approvazione di questo provvedimento potrebbe configurare una
situazione in cui alcune Regioni possono richiedere la competenza su 23 diverse materie,
altre su 10, o anche nessuna: uno sfilacciamento istituzionale, una situazione sbilenca.
Per questo sono d'accordo con Meloni quando dice che non è sufficiente dire no, ma
occorre una proposta diversa.
L'altro rischio che vedo è la possibilità di passare da Regione a Statuto speciale a Regione
meno che ordinaria. E soprattutto la Commissione paritetica prevista nello Statuto - che è
uno strumento straordinario – rischia di diventare meno efficace rispetto alla procedura
ipotizzata nel Disegno di legge Calderoli: l'intesa diretta con lo Stato.
Vorrei fare un'ultima considerazione sulla struttura federale degli Stati: alcuni Stati federali
sono nati grazie a una spinta centripeta: più Stati, più Regioni, si uniscono in una entità
statale; la visione della Lega all'opposto attiva una spinta centrifuga che tende ad
allontanare le diverse componenti dello Stato unitario. Quegli Stati trovano la loro unità
attraverso la federazione, mentre la proposta di federalismo sottesa nel provvedimento di
cui discutiamo viene da una spinta centrifuga che considero molto pericolosa.
ANDREA FRAILIS. Dobbiamo realisticamente considerare che questo provvedimento
diventerà legge, anche perché sappiamo che nell'ambito del centrodestra rappresenta una
merce di scambio ad esempio con il presidenzialismo. Quindi come partito dobbiamo
prepararci a contrastare una legge.
Sono del parere che quando il Parlamento viene messo in secondo piano non è mai una
cosa buona. Ero in Parlamento durante il periodo della pandemia, quando il Governo, per
affrontare una situazione eccezionale, ha fatto sovente ricorso allo strumento del DPCM
(Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri), e ricordo che ne abbiamo sofferto, ma
utilizzarlo in questo caso mi sembra criminale. Inoltre, se si cristallizza la spesa storica le
differenze rimangono, ed è un rischio che non possiamo correre.
Gli organi d'informazione non stanno riportando in modo comprensibile la questione, infatti
i Sardi non hanno capito niente, sono fuori da questo dibattito, hanno capito solo che la
Giunta Solinas ha approvarto il provvedimento perché aumenta la percentuale di
autonomia dei Sardi, che è una clamorosa bugia.Gianfranco Ganau ha detto che occorre una forte mobilitazione, ma questo sta già
avvenendo, infatti il 25 marzo, in concomitanza con la nostra prima Assemblea regionale,
si terrà a Terralba un'altra assemblea, promossa dal Comitato contro l'autonomia
differenziata, al quale hanno aderito cittadini, giuristi, sindaci, aderirò anche io e mi farò
portavoce di quelle istanze per denunciare che il richiamo all'insularità è un tentativo di
inquinare il dibattito, ed è una truffa il tentativo di alcune forze politiche che sostengono la
maggioranza, i Riformatori, di far passare l'idea che attraverso l'insularità si attenuano gli
aspetti negativi del provvedimento. Il 25 a Terralba si proporrà di cancellare il
provvedimento Calderoli, che non va emendato, va semplicemente buttato nella
spazzatura e questa dovrebbe essere anche la posizione del PD.
ANTONELLO CABRAS. Ho letto il resoconto del dibattito svolto ieri in Consiglio regionale
e sono rimasto un po' confuso, sia per gli interventi della maggioranza, ma anche per
alcuni dei nostri: l'articolo 116 è un articolo della Costituzione, e dobbiamo stare attenti a
non entrare in contraddizione quando sviluppiamo un'azione critica, perché insieme al
Comitato di cui parlava Frailis, c'è una miriade di comitati nati in difesa della Costituzione,
dal primo articolo fino all'ultimo. L'articolo 116 fu introdotto in un periodo della vita politica
italiana, come ricordava Tore Cherchi, in cui il centrosinistra di allora cercò di spostare una
linea indipendentista – che era la linea originaria della Lega – verso una linea federalista,
anche sotto il profilo istituzionale. Fu infatti eliminata la gerarchia tra le articolazioni della
Repubblica: Stato, Regioni, Province e Comuni. Furono introdotte le competenze delegate
alle Regioni, quelle concorrenti e quelle riservate esclusivamente allo Stato.
Un'operazione di riscrittura del Titolo V della Costituzione molto importante. Se
dimentichiamo questo finiamo per mischiare tutto. L'autonomia differenziata fu il frutto di
un negoziato difficilissimo con chi in quel momento voleva eliminare le Regioni speciali, un
fronte fortissimo, non solo di centrodestra. Decontestualizzare è un errore gravissimo: l'art.
116 è il risultato di una lotta acerrima che Tore Cherchi, io, ma anche i Siciliani, abbiamo
condotto in porto per salvare le Regioni speciali che altrimenti sarebbero state eliminate.
Nel momento in cui sviluppiamo un'iniziativa critica non dimentichiamo questo punto. Non
dobbiamo confondere Calderoli, il Presidente della Regione, con la Costituzione, sono
cose diverse.
Io sono meno preoccupato di chi pensa che questo provvedimento verrà approvato
domani, è stato riproposto perché la Lega non sta vivendo una fase positiva, sta perdendo
consensi, sta perdendo anche la sua ragione originaria, quindi doveva fare qualcosa per
riguadagnare terreno, ma una parte di coloro che l'hanno assecondata in questo disegno
non sono per niente convinti; forse sbaglio, ma penso che, poiché non è un decreto ma un
disegno di legge, in Parlamento subirà modifiche, aggiustamenti. Inoltre c'è un ultimo
punto con il quale purtroppo centrodestra e centrosinistra devono fare i conti: il nostro è il
Paese con il più alto tasso di evasione fiscale, e mentre propongono questo
provvedimento, preparano la riforma fiscale, ma le due cose non possono andare
d'accordo, emergerà una contraddizione. Il disegno di federalismo fiscale che noiavevamo delineato, e che ha avuto un'infinità di decreti attuativi, alla fine si è dovuto
scontrare con il problema delle risorse. Giorgio Macciotta, allora Sottosegretario di Ciampi,
si batté con grande forza per scrivere in Costituzione quello che ricordava Tore, cioè
garantire a tutti i livelli i diritti fondamentali, ma in assenza di risorse quel principio rimane
sulla carta. Questi elementi di riflessione ci devono accompagnare nella nostra azione
politica. Penso che noi dovremmo concentrarci sui punti che, anche per nostri ritardi,
riguardano le questioni più sensibili per la nostra regione, ad esempio i trasporti, sapendo
che l'interlocutore in questo campo non è solo lo Stato, ma anche l'Unione europea.
Non so se ho solo sollevato problemi, ma il mio intento era provare a sviluppare
un'iniziativa critica forte, sapendo che se domani dovessimo assumere una responsabilità
di governo faremo quello che abbiamo detto.
GIANMARIO DEMURO. Dovremmo cogliere l'occasione per ridiscutere di specialità; c'è la
possibilità di dare attuazione alla specialità, rimasta ferma dal 2008 dopo la sciagurata
vicenda del Referendum sulla Legge statutaria, una legge che il Consiglio può approvare
nella sua totale autonomia, una legge molto importante per ridefinire i rapporti tra Giunta e
Consiglio e per far funzionare l'organizzazione della Regione. Questo è un tema che va
affrontato subito, ne va del buon funzionamento del governo nella prossima legislatura.
Ma è importante chiarire cosa i Sardi pensano di sé stessi da qui a 20, 15 anni. Io sono
convinto che una forte caratterizzazione dell'autonomia speciale dipende da quali sono le
vere differenze che la Sardegna ha: una fortissima identità, una fortissima
caratterizzazione culturale, anche un diverso rapporto con il territorio. Al di là della parola
insularità, è evidente che le isole sono un mondo diverso rispetto ad altri territori, penso
all'eccessiva pressione determinata da un turismo invasivo, a uno sviluppo che non può
consentire un carico antropico insostenibile. La Sardegna può chiedere l'attribuzione di
competenze in materia di tutela ambientale, in materia di cultura, in materia di istruzione,
non per togliere il contratto nazionale agli insegnanti, ma per uscire dalla drammatica
situazione INVALSI in cui si trova. Quindi ridiscutere lo Statuto speciale con un'idea
precisa di Sardegna, perché trovo un po' volgare l'idea di richiedere tutte le competenze e
poi vedere quello che succede.
Ci sono alcune cose quindi che possono essere fatte subito, la legge statutaria e le norme
d'attuazione, che, se ben fatte – e lo dimostra la Provincia di Bolzano – portano
all'attribuzione di competenze in tempi rapidi. In prospettiva quindi aprirei un dibattito su
cosa la Sardegna vorrà fare nei prossimi anni: più o meno turismo, più o meno agricoltura
e in base a questo chiede le competenze necessarie per migliorare lo sviluppo dell'isola.PIERO COMANDINI. E' stato un dibattito ricco e costruttivo e che costituisce un metodo di
lavoro che dobbiamo assumere come partito. Fra alcuni mesi dobbiamo costruire un
programma, non solo per vincere le elezioni, ma per governare la Sardegna. Un percorso
non facile perché dovrà essere il programma di una coalizione più ampia, per questo
dobbiamo promuovere un tavolo con le altre forze che con noi vorranno candidarsi al
governo della Regione non solo per cinque anni, ma con un orizzonte più ampio, perché le
riforme richiedono tempi adeguati per essere approvate e realizzate. I temi affrontati
questa sera, l'autonomia differenziata, la revisione dello Statuto, saranno parte
fondamentale del programma alla cui costruzione siamo tutti chiamati a contribuire.
Sull'autonomia differenziata va intanto denunciato il metodo: un provvedimento così
importante non doveva essere firmato, in modo superficiale, dall'Assessore della sanità,
che peraltro non sapeva – così ha sostenuto – che l'argomento fosse all'ordine del giorno.
Noi avevamo chiesto che fosse coinvolto tutto il Consiglio regionale, non per un formale
rispetto dell'Istituzione, ma perché questioni che riguardano cambiamenti così rilevanti non
possono essere delegate a un singolo Assessore. Si è trattato di una mancanza di rispetto
da parte di un Presidente che si proclama sardista, ma che di sardista gli è rimasta solo la
spilletta che porta sulla giacca. Dobbiamo smascherare il ricorso a quella foglia di fico
dell'insularità sbandierata come soluzione a tutti i problemi della Sardegna. Ho ricordato in
Aula i nomi dei 12 parlamentari sardi che a Roma avevano esultato per l'inserimento del
principio di insularità in Costituzione, gli stessi che qualche mese fa hanno votato la
manovra finanziaria che non prevede una lira per l'insularità sul delicato problema dei
trasporti. Dobbiamo denunciare queste contraddizioni, anche in un momento difficile,
perché vedo l'apatia della gente, che si manifesta non solo con l'astensione, ma con il
rifiuto di ascoltare, che accetta tutto passivamente. Per questo sono importanti iniziative
come questa, come quella promossa questa stessa sera dal circolo Rinascita, dobbiamo
farlo in tutta la Sardegna per far capire alla gente che scelte come questa hanno ricadute
sulla loro vita quotidiana, sull'istruzione dei propri figli. E' il compito arduo che tutti noi,
insieme, dobbiamo sentirci impegnati ad assolvere, e questo aiuta il PD, ma aiuta anche la
Sardegna, aiuta il Paese, perché dobbiamo difendere le conquiste realizzate, lo
ricordavate in relazione ai contenuti della riforma del Titolo V della Costituzione che ha
salvato la specialità della Sardegna e la stessa unità della Repubblica.
Se dovesse essere approvato quel provvedimento – anche io non credo che ci riusciranno
– ci sarebbe un'ulteriore spinta allo spopolamento perché un medico, un insegnante,
sarebbe spinto a trasferirsi nelle Regioni in cui il loro lavoro è maggiormente retribuito, e
nel campo della sanità questo sta già avvenendo. C'è molto da fare, ed è vero che questi
temi sono più sentiti dalla classe dirigente che dalle persone fuori di questa stanza, ma
dobbiamo fare uno sforzo perché ne comprendano l'importanza. Dobbiamo stare tra le
persone con intelligenza: questo è il compito che il Partito democratico deve assolvere nei
prossimi mesi. Sono convinto che ci siano le condizioni per farlo. Il congresso, un
bellissimo esercizio di democrazia, ci ha dimostrato che c'è fiducia nei nostri confronti, se
35000 persone si sono mosse in una piovosa domenica per venire a votare. Allora, tutti
insieme, come comunità democratica, al di là dei ruoli che ciascuno ricopre, dobbiamo
avere l'orgoglio, la passione, la forza per fare questo percorso.
enzostra
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Iscritto il: mar dic 12, 2017 3:19 pm

Intervento di Franciscu Sedda Presidente di A Innantis

Messaggio da enzostra »

MOLTA GAZZOSA PER NULLA. VITTORIE DI CARTA STRACCIA PER FAR DIMENTICARE SOLDI E SOLIDARIETÀ INESISTENTI
di Franciscu Sedda
Oggi grande fanfara da parte della maggioranza al governo dell’isola per il fatto che Calderoli ha inserito un riferimento all’insularità nella nuova bozza del decreto sull’autonomia differenziata.
Festeggiamenti sospetti se si considera che l’insularità è in Costituzione e dunque è sempre valida, anche quando non è espressamente citata da leggi di rango inferiore. Possibile che non lo sappiano? Dietro la fanfara è più l’ignoranza o la malafede?
La verità è che tutta questa gazzosa serve a nascondere il fatto che all’atto pratico la “grande”, “rivoluzionaria”, “storica” conquista dell’insularità in Costituzione ha fruttato per quest’anno 5 miseri milioni di euro da dividere con la Sicilia e le altre isole e 15 milioni per l’anno prossimo, sempre da dividere (per capire che stiamo parlando del nulla: rifare la sola passeggiata di via Roma a Cagliari di milioni ne vale 10!).
Il tutto a fronte del fatto che a suo tempo – lo ricordava ieri anche la stampa nostrana - in principio di milioni alla Sardegna ne erano stati promessi 200. Insomma, l’insularità in Costituzione – e ancor più quella nel ddl Calderloli – è carta straccia. O addirittura porta sfiga.
La conferma la dà il fatto che mentre in pubblico il governatore Solinas con la sua maggioranza destroleghista sempre più spappolata festeggiano, nell'ombra si son messi a fare ricorso contro la finanziaria del governo amico Meloni-Salvini-Berlusconi. Insomma, fra lo Stato e la Sardegna vale sempre il detto: “Amici amici, e ti rubano la bici”, che a Roma suona più crudamente “Amici amici, amici ar ca’!’”. Ma evidentemente i nostri rappresentanti quando vanno a Roma rimangono storditi dagli ori e dagli arazzi di Montecitorio – e dai festini di cui qualche tempo fa giravano le immagini - e ancora non hanno capito come funziona la realtà. Quella vera.
A dirla tutta non l’hanno capito manco le opposizioni di centrosinistra che – a parte rare voci – continuano ad aggrapparsi all’idea di una Repubblica solidale e benevola, mentre i fatti ci ricordano che dopo più di 70 anni di Repubblica il divario fra Nord e Sud è aumentato, che lo Stato – dati alla mano – spende al nord almeno 200 euro in più pro-capite (e 400 euro in più a testa se si parla di spesa sanitaria). Del resto, che l’Italia dal 1861 si sia costruita drenando risorse – materiali, umane, economiche – dal Sud al Nord è un dato incontrovertibile. E incontrovertibile è il risultato di tanta solidarietà italiana nei confronti della Sardegna: fatto 100 il valore delle infrastrutture in Italia il valore per la Sardegna è 50. Se andiamo al dettaglio c’è da piangere: 44 per le strade, 17 per le ferrovie (vedi mappa). L’Italia è stata tanto solidale nei nostri confronti che – unici nella fantomatica repubblica solidale - c’ha lasciato da decenni senza doppio binario, elettrificazione, autostrade, metano, compagnie navali e aeree nostre (mentre i debiti di Alitalia li abbiamo sempre pagati anche noi, anche quando per anni la “compagnia di bandiera” non ha nemmeno provato a partecipare alle gare per la continuità); e non si preoccupa se qui sovra-produciamo energia e la paghiamo di più, né di caricarci di servitù militari fuori da qualunque limite legale italiano, né di mettere a rischio l’Einstein Telescope per le sue strategie energetiche (come ha fatto prima che i sardi se ne accorgessero). L’Italia è stata tanto solidale che nei nostri paesi – quelli più piccoli in primis - non ci sono più i servizi sociali basilari, a malapena è garantito l’ordine pubblico, le scuole chiudono quando non crollano. L’Italia è stata tanto solidale da costringerci a una estenuante vertenza entrate perché per trent’anni non ci ha reso i soldi che ci spettavano per legge e che con manolesta si tratteneva. Ci ha costretto a continue lotte sugli spropositati accantonamenti che metteva a nostro conto per garantire la sua solidità finanziaria: tanto spropositati che persino la Corte Costituzionale ha dovuto riconoscere che non erano una “cifra equa”. L’Italia è tanto solidale che nella stessa finanziaria in cui ci allunga 2 di milioni di briciole, rilancia il Ponte sullo Stretto di Messina definendolo opera di interesse strategico nazionale e mettendo in campo 50 milioni di euro solo per ricostituire la già fallimentare Società per lo Stretto, formata da Anas e Rfi. Preludio a una pioggia di miliardi. Che strano: non si sono sentite urla di dolore e di solidarietà levarsi dall’Italia intera dicendo “No! Dividiamo con la Sardegna per la sua continuità territoriale! Anche quella è strategica!”.
La classe dirigente che oggi ama definirsi “regionalista” non l’ha ancora capito: lo Stato solidale non esiste, né esistono i governi amici.
Se qualcuno continua a proporre di risolvere i mali della Sardegna mettendosi sotto l’ala di padrini forti s’inganna e vi inganna.
Se qualcuno pensa che stracciandosi le vesti per difendere un’astratta idea di Repubblica solidale questo guadagnerà future benemerenze ai sardi e alla Sardegna s’inganna e vi inganna.
Il “regionalismo” nostrano (che è di fatto un nazionalismo italiano) sta ancora aspettando che lo Stato paghi (come dice il centrodestra) o che la Repubblica sia solidale (come dice il centrosinistra) per i sardi morti a frotte nella prima guerra mondiale, per i sardi che sono andati a fare grande l’Italia, per i Lussu, Segni, Cossiga, Berlinguer donati alla causa d’Italia. Il regionalismo non ha ancora capito che più ti sacrifichi più ti chiederanno sacrifici, più urli “il nostro cuore è per voi” più loro diranno “dimostramelo ancora una volta: sopporta, muori per noi”.
Lo capiranno mai? Chissà. L’importante è che siano i sardi a capire che le cose devono cambiare, buttino a mare la rassegnazione e si rimbocchino le maniche per essere il cambiamento che ci può salvare.
Franciscu Sedda
Presidente “A innantis!” 🌿
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